Correva l’anno 1991. La Madonna che vediamo sullo schermo in A letto con Madonna è una ragazza di trentatré anni, che ha pubblicato quattro album (rispettivamente Madonna, Like a virgin, True blue e Like a prayer) e ne ha portato in tour tre (Like a virgin tour, Who’s that girl tour e Blonde ambition tour). Non è più una ragazzina che vuole avere disperatamente successo, e per ottenerlo salta dalla danza al canto al cinema, ma non è neanche ancora la donna che quando sale sul palco degli Mtv Music Awards del 2003 fa alzare in piedi una platea di cantanti supposti pari.
È apparsa al cinema diverse volte, pur con risultati piuttosto deludenti. L’unico film che le ha portato qualche commento positivo e che ha avuto degli incassi decenti è Cercasi Susan disperatamente (del 1985), e la critica, anche negli anni successivi, non si è lasciata sfuggire come l’interpretazione di Madonna fosse riuscita e credibile perché, in fondo, replicava se stessa. Susan è Madonna e Madonna è Susan, ma allora perché cambiare nome e indossare i panni di un alter ego? Perché non impiegare il tempo, l’impegno e la forza della pellicola a favore della carriera unica e onnicomprensiva a cui aveva dato inizio otto anni prima?
Ed eccola, dunque, Madonna davanti alle telecamere. Pronta a raccontarsi tra una tappa e l’altra del Blonde ambition tour con una sincerità che insiste nel mostrare anche la voce che non regge, la promiscuità che la spinge alle labbra di Antonio Banderas prima e tra le parole di Sandra Bernard poi, gli screzi familiari e perfino il lutto. Ma le debolezze, neanche a dirlo, sono solo apparenti, studiate. Madonna è frammentaria e frammentata, quasi schizofrenica, ma in ogni scena sembra quasi avere dei fili che la reggono e la tendono così da apparire esattamente come vuole essere vista. Anche quando è a seno nudo, anche quando mima una fellatio su una bottiglia. Sullo schermo Madonna è la madre, è l’amante, è dio. È il centro di un mondo che non ha il coraggio di metterla in discussione, perché è ciò che lo tiene assieme, che da un senso (e, non dimentichiamo, un lavoro, la fama o i soldi) ai ballerini che la denunceranno, al fratello che la criticherà nella sua biografia (Mia sorella Madonna), al padre che timidamente obbietta sui costumi di scena.
È quasi scontato affermare che Madonna costruisce il suo mito anche attraverso questo documentario (che, nel 2012, è quinto al mondo per incassi ricevuti), ma c’è qualcosa di più di questo. In lei non c’è separazione fra la persona e il personaggio, non esiste una maschera da indossare la mattina e lasciare sul comodino prima di andare a dormire. Madonna è creazione di se stessa, che si lascia plasmare con gratitudine. La bugia è veritiera e la verità è fasulla, la forma è sostanza e questo è l’unico motivo che ha impedito la caduta, la rottura dell’impalcatura, che la tiene in piedi anche a trent’anni di distanza dal primo singolo.
Ed essendo creatura e creatrice, Madonna deve fedeltà solo a se stessa. La determinazione, il carattere, il nervo della persona si impone con forza attraverso le immagini ed è quanto tiene incollati allo schermo, affascina e conquista.
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